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Spirito russo e Occidente: Chaadaev, Berdjaev, Solzhenitsyn, Zinov’ev – Seconda parte

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La Prima parte qui

Gli ultimi due autori, Solzhenitsyn e Zinov’ev, potrebbero essere posti nella stessa categoria in quanto sostanzialmente coevi ed entrambi critici e oppositori del regime sovietico in epoca post-staliniana. Lo sono stati, però, esprimendo concezioni diverse.
Importante è dire che Solzhenitsyn e Zinov’ev, sebbene riparati in Occidente e lì celebrati, rifiutarono con sprezzante avversione il sistema occidentale vedendo in esso, ancor più che nell’URSS, degenerazione e pericolo.
Le loro vite, differenti e non prive di ossimori, meritano dunque di essere brevemente viste in modo distinto.

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Aleksandr Solzhenitsyn

Aleksandr Solzhenitsyn (1918-2008) non ha bisogno di presentazioni. Attraverso il racconto della propria drammatica esperienza nel gulag staliniano, in particolare nel romanzo più noto Arcipelago Gulag, Solzhenitsyn rivelava al mondo le brutture di quella pagina sovietica suscitando lo sdegno ma anche il malcelato ghigno dell’Occidente.
Espulso nel 1974 dall’Unione Sovietica, egli riparò in Svizzera, Stati Uniti e infine in Canada, nei cui boschi si appartò per quasi venti anni; eppure in tutto questo tempo imparò un inglese assolutamente stentato. Piuttosto, imparò presto a cogliere i gravosi mali dell’Occidente…
Pochi da questa parte notarono infatti come la figura di Solzhenitsyn fosse ben poco legata all’Occidente. Se vero che nel comunismo più buio egli individuava l’anti-umanità, il modello cui lo scrittore tendeva non era certo l’Occidente “libero” e capitalista bensì la Madre Russia di retaggio zarista, quella pura e austera nella sua Ortodossia. Profondamente ortodosso era infatti Solzhenicyn, il quale in verità disprezzava tutto ciò che non era russo.
Posizioni dunque inconciliabili con l’Occidente corrotto, vanitoso e implicitamente antirusso nel quale si ritrovò a vivere, di cui disse:

“Non avevo mai immaginato come un estremo degrado in occidente abbia fatto un mondo senza volontà, un mondo gradualmente pietrificato di fronte al pericolo che deve affrontare… Tutti noi stiamo sull’orlo di un grande cataclisma storico, un’inondazione che ingoierà le civiltà e cambierà le epoche.”

Forte fu la delusione dello scrittore al suo ritorno in Russia nel 1994, allorquando la ritrovò in preda a famelici profittatori e prostrata all’Occidente come una “cagna strisciante”.
Solzhenitsyn fu di fatto un reazionario, ma sosteneva sul piano politico anche un moderato patriottismo che lo portò dopo il cambio di millennio a sostenere la nuova conduzione del Paese operata da Putin.
Acre fu anche nel condannare le azioni belliche dell’Occidente, parlando di “genocidio” in Vietnam e affermando in occasione del bombardamento sulla Jugoslavia del 1999:

“Non ci sono differenze tra la NATO e Hitler.”

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Aleksandr Zinov’ev

Ultimo tra questi autori, Aleksandr Zinov’ev (1922-2006) fu anch’egli a suo modo un dissidente ma di formazione squisitamente scientifica, tanto da aver ricoperto per molti anni la cattedra di logica matematica all’università Lomonosov di Mosca. Cresciuto sulla base di una dottrina marxista-leninista abbastanza solida (come del resto anche Solzhenitsyn), si definì un comunista “ideale e psicologico”, non quindi ortodosso e ligio all’ideologia. Nonostante la sua posizione, col tempo manifestò una sempre maggiore avversione verso la struttura del regime sovietico: nei suoi scritti di caustica critica sociale e politica dipingeva infatti la desolazione, lo squallore, le assurdità dell’URSS. Nulla più e nulla meno.
Nel 1978 fu definitivamente espulso dal Paese e andò a vivere nella Germania federale. Eppure presto si espresse a gran voce contro il processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica e non risparmiò dure invettive alla dissidenza liberale sovietica, ossequiosa e servile verso l’Occidente; dell’occidente egli aveva già colto la dimensione altrettanto squallida, ideologizzata e devastatrice che sarebbe straripata senza contenimenti una volta venuta meno la contrapposizione dell’URSS.
Riabilitato come cittadino sovietico nel 1990 sulla soglia della caduta della superpotenza comunista, vide velocemente avverarsi il timore che aveva nutrito negli anni precedenti di esilio: la Russia che veniva piegata e umiliata, il recente passato sovietico marcato da damnatio memoriae. È qui che Zinov’ev si affianca alla causa del Partito Comunista della Federazione Russa di Zjuganov e inizia a predicare, con ravvedimento solo apparente, la necessità e l’urgenza di ritornare all’Unione Sovietica, la quale, sia pur coi suoi mille aspetti negativi, era stata potenza forte e rispettata.
Afferma il pensatore contemporaneo russo:

“La catastrofe russa è stata voluta e programmata qui in Occidente. Lo dico perché per un periodo sono stato un iniziato. Ho letto documenti, ho partecipato a studi che sotto la copertura di combattere un’ideologia, preparavano la morte della Russia.”

Dopo la scomparsa dell’URSS, Zinov’ev denuncia in vari libri l’avanzata della “democrazia coloniale”, nuova mistificatoria ideologia di dominazione creata in Occidente (precisamente dagli Stati Uniti) col fine di perseguire l’occidentalizzazione del globo; essa opera principalmente per meccanismi di induzione psicologica, i cui assunti sono assolutamente falsi ma difficilmente rigettabili da coloro che vengono occidentalizzati.
Ammonisce tuttavia Zinov’ev che il comunismo, nonostante la sua scomparsa ideologica, rimarrà sempre in vita nelle sue elevate istanze umane e morali, destinato inevitabilmente a ritornare in forme diverse e inattese.
Nel 1998 il pensatore russo scrive L’Umanaio globale, un’ultima opera satirica e anti-utopica sulla condizione prossima cui l’umanità è destinata, dove essa appare snaturata e sfigurata dalla vittoria totale ma esiziale dell’Occidente sul pianeta. Opera tradotta in italiano che per acume, critica e ingegno nulla ha da invidiare a quella ben più nota e celebre di Orwell, alla quale è legata da evidenti analogie.

“Noi oggi assistiamo all’instaurazione di un totalitarismo democratico, o se preferite all’instaurazione della democrazia totalitaria.”

“Dal punto di vista ideologico [la democrazia] viene presentata come una missione umanitaria, disinteressata e liberatoria dell’Occidente.  Noi siamo liberi, ricchi e felici – dice l’Occidente ai popoli da occidentalizzare – e vogliamo aiutarvi  a diventare liberi, ricchi e felici. Ma la reale sostanza dell’occidentalizzazione è tutt’altra. […] A tal fine è stato creato un potente sistema di seduzione e d’indottrinamento ideologico delle masse. Ma in ogni circostanza l’occidentalizzazione è un’operazione attiva che non esclude neppure la violenza.”

A distanza di pochi anni dalla sua morte, avvenuta nel 2006, i fatti confermano la sagace previsione del pensatore russo. Continua imperterrita a realizzarsi, seppur con sempre maggiore affanno, l’avanzata ideologica della democracy anglosassone cui conseguentemente, necessariamente e arrogantemente si accompagna l’espansione nel mondo dell’Occidente, capeggiato dalla suprema potenza americana cui non è dato né opporsi né dissentire, pena la demolizione della sovranità e l’affossamento economico-finanziario. Data l’odierna crisi degenerativa dell’Occidente su una molteplicità di fronti, la sua “ideologia” si dimostra ancor di più efficiente e persuasiva: nonostante tutto, continua a indurre i suoi individui a esaltare essa stessa e il sistema che la regge; altro non è che il potere soverchiante e totalitario che denunciava Zinov’ev.

Ma l’Occidente oggi è in fase calante e il tempo stringe, ed esso non ha la minima intenzione di rinunciare al proprio scettro, significhi questo scontrarsi fatalmente con gli imponenti ostacoli al suo dominio – Russia e Cina in primis – al costo di un conflitto totale. In questo senso, l’Ucraina sembra esserne solo il tenue preludio…

Lorenzo Baratti


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